Una cosa è certa: quella di Iago non è poesia che usa le tattiche del sentimento o dell’emozione estemporanea, bensì è modellata sul disincanto. È un guardare distaccato e implacabile da una posizione scomoda, antagonistica, con lo sguardo orientato su uomini e cose stritolati (e ormai consapevolmente rassegnati) dentro apparati sociali e meccanismi esistenziali. L’atteggiamento non è mai conciliante ma instancabile nello scrutare dietro a tutte le finzioni e le maschere. Allora che cosa sono questi testi se non allegorie, piccole favole nere di una Waste Land plastificata e luccicante?